La storia del barley wine Xyauyù di Baladin

È incredibile pensare che la Xyauyù, una delle birre più straordinarie e complesse del birrificio Baladin, sia nata da una sfida tra padre e figlio. L’azienda sorge infatti a Piozzo, una comunità prevalente rurale affacciata sulle Langhe, una delle terre più celebri al mondo per la produzione di vino. Un luogo dove a nessuno verrebbe in mente di produrre birra, a meno di non essere un visionario pronto a scontrarsi con convenzioni culturali e pregiudizi. 

 

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Un anello di congiunzione tra birra e vino

Così quando nel 1996 Teo Musso fondò il birrificio Baladin, non poté non incassare la diffidenza del padre. Teo non si lasciò scoraggiare, andò avanti per la sua strada e anzi invitò il genitore a sostenere la sua impresa cominciando a bere birra. La risposta del padre fu secca e provocatoria: “D’accordo, comincerò a farlo il giorno in cui mi farai bere una birra più buona di un vino”. Teo rispose alla punzecchiatura da far suo, cominciando a immaginare un modo per realizzare un’idea splendidamente folle: creare un anello di congiunzione tra il mondo della birra e quello del vino.

Sebbene Teo non fosse un grande appassionato di vino, mostrava una certa fascinazione per i prodotti ossidati, come il Madeira, lo Sherry e il Brandy. Ben presto allora si concentrò sulla possibilità di trasformare una criticità della birra – cioè l’incameramento di ossigeno – in un elemento distintivo del suo progetto, trasformando un difetto in un pregio. Quello dell’ossidazione è un problema con cui si scontra tutta l’industria alimentare e vinicola, ma nella birra assume dimensioni eccezionali perché il prodotto è particolarmente suscettibile alle variazioni indotte dal processo di “invecchiamento” precoce. Teo era consapevole di questo aspetto, ma voleva realizzarlo puntando su equilibrio ed eleganza.

 

Le origini di Xyauyù Baladin

 

I primi esperimenti cominciarono nel 1997, quando una partita di Super di Baladin fu sottoposta a un processo molto particolare. Teo riempì con la birra una grande vasca da latte situata nel cortile di casa della madre e la lasciò a riposare per circa un anno, coprendola in maniera non ermetica. La posizione non fu casuale: Teo voleva verificare l’effetto del passaggio del tempo in un ambiente esposto a pesanti sbalzi climatici (da 40 °C in estate a -15 °C in inverno). Contro ogni aspettativa, l’evoluzione ossidativa risultò molto elegante, tanto da convincere Teo a insistere su quel percorso. 

Le correzioni da compiere erano diverse, innanzitutto perché nell’arco dei mesi l’alcol era quasi completamente evaporato, fissando la gradazione finale ad appena il 2%. Il primo aggiustamento riguardò la posizione della vasca, che fu spostata in un punto più riparato: le sfumature risultarono ancora più fini e una parte dell’alcol fu preservata (6%). C’era però bisogno di una birra di partenza più alcolica, per bilanciare il processo con un maggiore contributo di maltodestrine per ottenere il giusto equilibrio tra note ossidative, sfumature amaricanti del luppolo e toni dolci del malto (amplificati dall’ossidazione). Inoltre, bisognava escludere ogni possibilità di acidificazione del prodotto, perché Teo Musso non voleva una birra acida.

Il primo lotto di quella che sarebbe diventata la Xyauyù fu realizzato nel 2003 e pronto nel 2005, dopo 18 mesi di iter produttivo. La birra, che ancora non aveva un nome, fu presentata in una serata birra vs vino condotta da Luigi “Schigi” D’Amelio. Teo propose la sua birra ossidata in abbinamento al dessert, sconvolgendo la platea e oscurando completamente il vino “rivale” (un eccellente Sauternes). Quell’exploit convinse Teo a mettere la birra sul mercato, sebbene fino a quel momento rappresentasse per lui ancora il semplice frutto della sfida con suo padre. Fu battezzata Xyauyù, nome suggerito dalla figlia Wayan – all’epoca aveva cinque anni – perché identico a quello della sua figlia immaginaria che viveva in Marocco.

 

La saga delle birre “speciali” Xyauyù

 

La saga della Xyauyù cominciò in quel momento. L’anno successivo partirono tre affinamenti con evoluzioni ossidative diverse, che si concretizzarono in altrettante versioni della birra: Oro, Argento e Rame. La Xyauyù era ancora totalmente prodotta in acciaio, quindi le note legnose e vinose che si potevano percepire erano relative esclusivamente all’ossidazione e non all’uso di botti. 

Nella seconda metà degli anni 2000 la Xyauyù cominciò a diversificarsi in versioni “contaminate” da ingredienti e tecniche particolari. Nel 2006 nacque la X-Fumé, realizzata con un’infusione di tè Lapsang Souchong, coronando l’incontro della birra con il tè, una grande passione di Teo in quel momento della sua vita. La X-Fumé si rivelò molto interessante, con una particolare nota tra l’affumicato e il bruciato.

Nel frattempo cominciarono i primi esperimenti di affinamento in legno, che aprirono la strada a un percorso nuovo, affascinante e complesso, che avrebbe caratterizzato il futuro del prodotto a firma Baladin. Iniziarono così sperimentazioni con svariate botti, contraddistinte da legni e tostature diverse; i risultati furono talmente stupefacenti da convincere Teo a trasformare il pollaio di famiglia in una cantina di affinamento a temperatura e umidità controllate. Da quel momento ogni versione di Xyauyù sarebbe stata sempre affinata in legno, abbandonando la maturazione esclusivamente in acciaio. I mesi tra il 2008 e il 2010 furono scanditi da una moltitudine di test con blend e botti che avevano precedentemente ospitato distillati (rum, whisky). Molto originale fu anche la Xyauyù realizzata con un’infusione di tabacco.

La Xyauyù è una birra in costante evoluzione, che di volta in volta assume incarnazioni e sfumature differenti. Oggi sono disponibili la Xyauyù “base”, la Xyauyù Barrel affinata in botti di rum, la Xyauyù Fumé maturata in botti di whisky scozzese delle Islay, la Xyauyù Kentucky impreziosita da un’infusione di foglie di tabacco e la Xyauyù Kioke, che fa ricorso alle tradizionali botti giapponesi usate per la fermentazione della soia.

La Xyauyù è sempre prodotta in tiratura limitata: sommando le varie versioni si arriva appena a qualche migliaia di bottiglie all’anno. Come spiegato il processo realizzativo è molto lungo e complesso e peraltro prevede una perdita di prodotto pari al 58% - 60% a causa dell’evaporazione e di altri fenomeni naturali. Questo è l’ennesima peculiarità di una birra unica al mondo e sempre straordinaria.

 

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