Alla scoperta delle Italian Grape Ale

L’Italia è una nazione priva di una forte tradizione brassicola, ma questo non le ha impedito di emergere negli ultimi decenni come una delle realtà più interessanti nel panorama birrario internazionale. Una sorta di consacrazione a questa scalata è arrivata in anni recenti, quando è stato riconosciuto ufficialmente il primo stile di origine italiana, quello delle Italian Grape Ale (IGA). 

 

Cosa significa “birra IGA”?

IGA è l’acronimo di Italian Grape Ale, espressione che può essere tradotta letteralmente con “birra ad alta fermentazione di stampo italiano con uva”. Per ovvi motivi si definiscono queste produzioni come l’anello di congiunzione tra la birra e il vino, poiché il loro elemento caratteristico è la presenza del mosto di uva (o più raramente del semplice frutto) tra gli ingredienti.

Le IGA sono, infatti, realizzate miscelando al mosto di birra quello di uva, aggiunto in percentuale variabile in base alle peculiarità del vitigno (o dei vitigni). L’obiettivo è creare una birra fuori dagli schemi, che strizzi l’occhio al mondo del vino senza tuttavia perdere la sua anima brassicola.

 

Storia della Italian Grape Ale

La prima Italian Grape Ale commercialmente disponibile arrivò nel 2006 per opera del birrificio sardo Barley: il birraio Nicola Perra lanciò la sua BB10, un’Imperial Stout brassata con l’aggiunta di sapa (mosto cotto) di uve Cannonau. Quella birra sconvolse i bevitori e gli addetti ai lavori, spingendo altri birrai a seguire le orme di Perra. Nel giro di qualche anno uscirono decine di prodotti simili da parte degli altri birrifici artigianali italiani, fino a stabilire un trend piuttosto importante.

Quelle birre ancora non avevano un loro nome. Il nome "Italian Grape Ale" fu coniato nel 2015 dall’ente BJCP (Beer Judge Certification Program), quando inserì queste particolarissime birre tra gli stili “ufficiosi” delle sue Style Guidelines, il documento considerato la bibbia degli stili birrari.

Fu la consacrazione definitiva per lo stile e per il movimento italiano, nonché l’inizio di un’ulteriore fase di crescita. In poco tempo si moltiplicarono gli articoli sull’argomento e nel 2019 l’espressione “Italian Grape Ale” fu inserita dalla Treccani tra i neologismi del suo vocabolario. Nel 2021 è stato organizzato l’IGA Beer Challenge, il primo concorso internazionale dedicato alle IGA. Oggi si stima che in Italia siano prodotte oltre 200 Italian Grape Ale da 140 birrifici diversi.

Una curiosità inedita? Anche Teo Musso di Baladin produsse una birra con mosto di Dolcetto, chiamata Perbacco, addirittura alla fine degli anni Novanta. Purtroppo questa birra non fu mai ufficialmente proposta sul mercato.

 

Non perderti le migliori Ale in giro per il mondo: scarica l'eBook!

 

IGA, l’anello di congiunzione tra birra e vino

Le IGA sono una produzione influenzata dalla grande tradizione vitivinicola del nostro Paese. In qualche modo questa tipologia  di birra ha permesso di superare la storica conflittualità tra birra e vino, indicando una strada comune da percorrere. Produrre una buona IGA non è impresa facile e fondamentale è l’apporto della cantina che fornisce il mosto: solo con uno scambio di conoscenze reciproco si possono raggiungere risultati soddisfacenti. È dunque imprescindibile un’autentica collaborazione tra tutti gli attori coinvolti.

Inoltre, molte IGA sono prodotte con vitigni locali, spesso trascurati o dimenticati. In questo stile dunque si ritrova spesso il concetto di legame con il territorio, un tema molto caro al settore brassicolo italiano. La necessità di collaborare stimola l’esigenza di trovare interlocutori geograficamente vicini.

 

Birra IGA: caratteristiche dello stile

Lo stile delle IGA è uno dei più elastici in assoluto. Impone pochissimi vincoli al birraio, lasciandogli completa libertà su colore, gradazione alcolica, acidità, etc. Addirittura sul tipo di lievito: nonostante il nome, un’Italian Grape Ale può essere prodotta anche a bassa fermentazione. L’unico obbligo, ovviamente, è che tra gli ingredienti sia presente l’uva o (come accade quasi sempre) il mosto della stessa.

Da un punto di vista organolettico è importante che una IGA non sconfini nel mondo del vino: deve continuare a essere percepibile come birra, senza che il contributo dell’ingrediente speciale prenda il sopravvento. L’uva può essere usata in forma di mosto, sapa, grappolo intero, vinacce o appassita. Per la legislazione italiana invece non è possibile usare mosto di uva fermentato.

 

Come servire una Italian Grape Ale

Per l'Italian Grape Ale, visto la variabilità dello stile, non esistono regole uniche di servizio. La temperatura dipende dalla gradazione alcolica e dalle caratteristiche del prodotto, mentre come bicchiere può essere usato un calice da vino pressoché in ogni occasione. Stesso discorso per gli abbinamenti: ci sono IGA che si prestano bene ad accompagnare fritti di pesce, altre che si sposano con carni a lunga cottura, altre ancora con dolci.

Non solo IGA: Xyauyù, il Barley Wine di Baladin

Le IGA non rappresentano l’unico modo di intendere il connubio tra birra e vino. Un esempio alternativo ci arriva dalla Xyauyù di Baladin, il Barley Wine con cui Teo Musso ha voluto replicare le suggestioni dei celebri vini ossidati, come il Madeira, lo Sherry o il Marsala. La Xyauyù non prevede l’aggiunta di uva, bensì una lunga maturazione in botte con controllo del processo ossidativo per creare un prodotto unico, straordinario e inimitabile.

 

CTA Tutti gli stili di Ale