Birre alla frutta: storia, stili e nuove tendenze

 

Oggi non è raro imbattersi in birre artigianali prodotte con frutta. Il ventaglio di varietà impiegate è estremamente ampio: si va dalle ciliegie ai lamponi, dalle pesche alle albicocche, passando per zucche, uva e frutti esotici come mango, cocco e passion fruit. A prima vista potrebbe sembrare una moda recente o una scelta creativa del birraio, ma l’impiego della frutta nella produzione birraria è una pratica che affonda le sue radici nella storia millenaria della birra.

Benché alcune tipologie siano effettivamente nate in tempi moderni, il concetto stesso di birre alla frutta è tutt’altro che nuovo: è una consuetudine profondamente radicata nella tradizione brassicola internazionale.

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Birra fruttata o birra con frutta? Una distinzione importante

Quando si parla di birre alla frutta, spesso si tende a utilizzare in modo intercambiabile termini come “birra fruttata” e “birra con frutta”. In realtà, tra le due espressioni esiste una differenza sostanziale, sia dal punto di vista tecnico che sensoriale.

Una birra con frutta è una birra in cui viene aggiunta frutta vera (intera, in purea o in forma di mosto) durante una delle fasi di produzione, tipicamente durante o dopo la fermentazione. Questo approccio mira a integrare nella birra aromi naturali e zuccheri fermentabili provenienti dal frutto. È il caso delle classiche Kriek, delle Italian Grape Ale o delle Catharina Sour: in questi stili la frutta ha un ruolo attivo nella fermentazione e contribuisce in modo diretto al profilo finale del prodotto.

Al contrario, una birra fruttata può anche non contenere affatto frutta. In questo caso, il termine si riferisce più semplicemente alla percezione sensoriale: il gusto o l’aroma possono ricordare la frutta grazie a specifici lieviti, al tipo di luppolatura o alla fermentazione. Una IPA con sentori tropicali può dunque essere considerata “fruttata”, pur non contenendo alcuna aggiunta fruttifera.

Valorizzare questa distinzione è utile per comprendere meglio il significato di ciò che si trova nel bicchiere: mentre la birra fruttata è una definizione più ampia, la birra con frutta è il risultato concreto dell’impiego di ingredienti reali, con tutte le implicazioni che questo comporta sul piano aromatico, produttivo e tecnico.

Le origini antiche delle birre con frutta

Ma quando sono apparse di preciso le prime Fruit Beer nella storia della bevanda? In realtà mai. Non esiste infatti un momento preciso in cui questa tradizione si è fatta strada nelle regole produttive dei birrai. In altre parole già i primissimi ritrovamenti archeologici risalenti a millenni fa dimostrano come in passato la birra – o meglio, la sua forma più arcaica – fosse prodotta ricorrendo a diversi frutti, oltre che a spezie ed erbe. Il suo impiego ha avuto alti e bassi nei secoli, ma è indubbio che la sua presenza non è mai scomparsa totalmente. Oggi il panorama brassicolo internazionale può vantare diverse tipologie riconducibili al concetto generale di Fruit Beer: alcune appartengono alla storia delle principali culture brassicole mondiali, altre sono il risultato di tendenze emerse negli ultimi anni.

L’uso della frutta nel processo produttivo soddisfa determinate necessità e ha precise ripercussioni sul prodotto finale. Primariamente fornisce un contributo decisivo a livello aromatico, arricchendo il bouquet della birra con i suoi tratti specifici e caratteristici. Da questo punto di vista l’apporto è tale che diversi birrifici, soprattutto di stampo industriale, sono soliti impiegare estratti e sciroppi per aromatizzare (e spesso addolcire) in maniera artificiosa le proprie produzioni.

Il caso più celebre nella storia della bevanda è rappresentato dall’imbarbarimento del Lambic, avvenuto a partire dagli anni ’80. Per cercare di rimanere al passo con i profondi cambiamenti nel gusto dei consumatori, diversi produttori delle tradizionali fermentazioni spontanee del Belgio cominciarono ad aggiungere sciroppi e altri dolcificanti alle loro birre naturalmente acide, snaturando il valore di una specialità profondamente legata alle tradizioni del passato. Una sorta di evoluzione aberrante dell’uso storico della frutta – questa volta fresca – nella produzione del Lambic, con cui ancora oggi si ottengono tipologie specifiche come Kriek (con ciliegie) e Framboise (con lamponi).

Come vengono prodotte le fruit beer

Quando si parla di Fruit Beer autentiche, si fa per l’appunto riferimento all’impiego di frutta fresca o di purea di frutta. Le differenze sono importanti soprattutto per la compartecipazione di microrganismi “non ortodossi”. Sulla buccia della frutta non trattata sono infatti presenti diversi lieviti (in particolare Brettanomyces) e batteri che possono interagire a livello fermentativo con contributi spesso considerati indesiderati. In particolare, la frutta viene utilizzata in questo modo per birre volutamente acide (il già citato Lambic, ma anche le diverse Sour Beer) o affinate in legno. La purea invece permette di utilizzare la frutta senza incorrere in simili effetti e fornisce altri ovvi vantaggi in termini logistici.

La creazione di Fruit Beer deve tenere in considerazione tutte le caratteristiche tipiche della frutta: il suo aroma chiaramente, ma anche i diversi livelli di acidità, tannini, amaro e soprattutto contenuto zuccherino. In particolare, la frutta è composta per lo più da zuccheri semplici, che tendono a essere convertiti completamente dal lievito. Nel frutto questi zuccheri coprono la parte acida (generalmente sempre presente, pur con livelli diversi d’intensità), quindi è opportuno che un birraio tenga presente questo aspetto quando decide di aggiungere frutta alla sua ricetta.

Le nuove frontiere delle birre alla frutta

Nonostante l’impiego di frutta sia una soluzione tecnica che affonda le proprie radici nella notte dei tempi, esistono alcune tipologie che si sono diffuse solo in tempi recenti. L’uso di frutta esotica e tropicale è proprio delle ultime evoluzioni della birra artigianale, spesso impiegata per aromatizzare creazioni leggermente acide che in Brasile hanno assunto il nome di Catharina Sour. Altri due stili emersi negli ultimi anni sono le Grapefruit IPA, che prevedono l’aggiunta di pompelmo o altri agrumi per esaltare le analoghe note conferite dai luppoli americani, e le Italian Grape Ale, unica tipologia brassicola legata al nostro paese, la cui peculiarità è l’impiego di uva, quasi sempre in forma di mosto – come avrete capito rappresentano l’anello di congiunzione tra la birra e il vino, fermentato di frutta per eccellenza.

Birre alla frutta: esempi

Le birre alla frutta hanno arricchito il panorama internazionale brassicolo con sottostili particolari e aromatici. Le Fruit Beer rappresentano una famiglia di produzioni speciale. Una tipologia di birra caratterizzata, sia dal punto di vista aromatico sia produttivo, dall’uso di frutta (anche esotica). 

Tra i principali stili di birra alla frutta troviamo: 

  • Kriek, con ciliegie
  • Framboise, al lampone
  • Catharina Sour, caratterizzata dall’impiego di frutta tropicale
  • Grapefruit IPA, con aggiunta di pompelmo e altri agrumi
  • Italian Grape Ale, con uva sotto forma di mosto
Mama Kriek image

Mama Kriek

€ 12,00

Mama Kriek: dall’unione di ciliegie griotte (amarene) e Wayan, nasce l’aromatica birra alla frutta di Baladin.

 

 

 

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