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Il primo assaggio di una birra Blonde Ale, profumi e aromi

Scritto da Staff Baladin | 16-set-2019 16.18.00

 

Si fa presto a dire bionda… Se si usa questo termine per definire qualunque birra di colore tra il paglierino e il dorato carico si commettono, infatti, due errori: uno lessicale e uno concettuale.

Per quanto riguarda il primo aspetto, tra i professionisti del settore birrario non si parla di bionde, rosse e nere ma - senza più suadenti evocazioni della bellezza femminile ma con assai maggiore precisione - di chiare, ambrate e scure.

 

Colore uguale, gusto differente!

Concettualmente, pensare che tutte le chiare abbiano così tanto in comune tra loro da poter essere raggruppate in unica famiglia ha lo stesso (poco) senso di ritenere che alimenti dello stesso colore abbiano analoghe caratteristiche organolettiche.

Il colore di una birra ci dice solo quali tipologie di malti sono stati impiegati per produrla ma non rivela nulla circa il suo equilibrio gustativo o il grado alcolico: in altre parole, la nostra chiara potrebbe essere dolce, amara, acida, a basso, medio o altissimo grado alcolico... l'unica certezza è che la ricetta prevede solo malti chiari, né caramellati né tostati.

Inoltre, se si chiedesse a un consumatore comune di illustrare la sua idea di birra bionda, ciò che otterremmo sarebbe l'identikit di una lager a basso grado alcolico e leggermente amara: potrebbe trattarsi di una Pils, una Helles o una Export ma sarebbe comunque un prodotto della cultura birraria bavarese o boema.

C’è Blonde Ale e Blonde Ale

Esistono invece birre che è legittimo chiamare Blonde o Blond: si tratta di ale (ale è il termine generico per indicare una birra prodotta con lieviti di alta fermentazione, così come lager indica una birra a bassa fermentazione) le cui radici non affondano in Mitteleuropa bensì in tutt'altri territori.

Ancora una volta, la situazione è più complicata del previsto: nel Regno Unito Blonde Ale è un sinonimo di Golden Ale o Summer Ale, birre più chiare delle classiche Bitter britanniche ma comunque ad alta fermentazione e caratterizzate dalla presenza di luppoli inglesi, nate negli anni Ottanta del XX secolo per fronteggiare l'invasione delle lager continentali.

Negli Stati Uniti, invece, le Blonde Ale sono quasi sempre il prodotto più leggero ed economico di un birrificio artigianale: chiare, ad alta fermentazione, dal moderato grado alcolico e con un impatto aromatico e gustativo tenue, senza eccessive spinte né verso la dolcezza maltata né verso gli aromi agrumati e resinosi dei luppoli locali con il loro carico di amaro. Sono birre concepite come ammazzasete estivo e, soprattutto, come porta d'ingresso al mondo della birra artigianale per il consumatore, fino a quel momento, di quelle industriali.

È però il Belgio il territorio in cui il termine Blond (rigorosamente senza la -e finale) Ale acquisisce il suo significato più pregno: non si tratta di uno stile rigorosamente definito (del resto i birrai fiamminghi e valloni sono, come quelli italiani, piuttosto allergici al rigido rispetto dei confini) ma di una famiglia allargata che riunisce birre accomunate dall'uso di soli malti chiari, dal tenore alcolico moderato ma non troppo (difficilmente sotto i 5,5% ABV) e fortemente caratterizzate dall'ingrediente principe dell'universo brassicolo belga: il lievito.

Dopo aver ammirato la candida e abbondante coltre di schiuma che ricopre il liquido dorato e leggermente opalescente grazie all'assenza di filtrazione, l'olfatto sarà infatti accarezzato dagli aromi fermentativi improntati a note di fiori gialli, agrumi e di spezie delicate (pepe bianco, erba cipollina, coriandolo) che si accompagneranno a quelli di crosta di pane e velatamente mielati dei malti.

Il profumo erbaceo dei luppoli coltivati in Belgio è, nei prodotti più tradizionali, una leggera spinta agli analoghi sentori sprigionati dal lievito. Negli ultimi anni si sono però affermate Blond decisamente più luppolate, con vigorosi aromi erbacei venati di note balsamiche. Analogamente, l'uso di spezie, opzione praticata da alcuni produttori, deve supportare e non sovrastare i profumi fermentativi.

Il sorso, reso agile dalla snellezza del corpo, conferma generalmente le impressioni olfattive, con un attacco dolce venato di ricordi floreali e mielati, una delicata presenza agrumata e speziata sul medio palato sorretta da una vivace frizzantezza e un finale amaro erbaceo moderato, che può diventare deciso negli esemplari più luppolati.

Quando, presto, il vostro bicchiere sarà vuoto, ammirerete sulle sue pareti dei leggiadri arabeschi bianchi, residui di schiuma chiamati significativamente “merletti di Bruxelles” che vi sussurreranno di ordinare un'altra Blond.