Chiedete un Moscow Mule al bancone di un bar e quasi certamente il bartender afferrerà una bottiglia di ginger beer. Ordinatelo su un volo intercontinentale e potreste ritrovarvi con una lattina di ginger ale.
Due nomi simili, un ingrediente comune – lo zenzero – ma tante differenze di gusto e produzione. Spesso confuse e usate erroneamente come sinonimi, queste due bevande nascondono differenze sostanziali che ne definiscono il sapore, l'identità e l'utilizzo.
La ginger beer è una bevanda che affonda le sue radici nella tradizione anglosassone del XVIII secolo. In origine, era a tutti gli effetti una "birra di zenzero", prodotta attraverso un processo di fermentazione.
Gli ingredienti base sono semplici: radice di zenzero fresco, zucchero e acqua. A questa miscela viene aggiunto un lievito (spesso lo stesso usato per la birra) che, consumando gli zuccheri, produce naturalmente anidride carbonica e una minima quantità di alcol.
Questo processo conferisce alla ginger beer le sue caratteristiche organolettiche distintive: un gusto pungente, intensamente speziato e meno dolce rispetto ad altre bibite. Il sapore dello zenzero è il protagonista assoluto, con una nota piccante decisa e che persiste al palato.
Storicamente, il grado alcolico poteva essere più significativo; oggi, la stragrande maggioranza della ginger beer in commercio è classificata come analcolica. Il suo contenuto alcolico è nullo o trascurabile: anche quando la fermentazione lascia una minima traccia di alcol, questa si mantiene al di sotto della soglia dello 0,5%, limite che per legge la classifica a tutti gli effetti come bevanda analcolica.
Il ginger ale, invece, è una creatura del Nuovo Mondo, nato in America del Nord come soft drink più mite e accessibile. La differenza fondamentale sta nel metodo di produzione: il ginger ale non è fermentato.
Si tratta di acqua gassata (ottenuta quindi per carbonazione artificiale) a cui vengono aggiunti sciroppo di zucchero ed estratti o aromi di zenzero.
Il risultato è una bevanda dal sapore molto più dolce e delicato. La nota di zenzero è presente ma contenuta, mai aggressiva, e serve più a profumare che a dominare il gusto. Il suo colore è tipicamente più chiaro e limpido, simile a quello di altre bibite gassate.
Se la ginger beer è un'esplosione di sapore, il ginger ale è una carezza rinfrescante. Questa differenza nella lavorazione e nel profilo aromatico ne determina anche un diverso uso.
Mettiamo a confronto diretto le due bevande per riassumere le loro identità distinte:
Questa è una delle domande più frequenti. La risposta è: originariamente sì, oggi quasi mai. Le versioni artigianali o fatte in casa possono avere un grado alcolico variabile, ma la quasi totalità delle ginger beer che trovate al supermercato o al bar è analcolica (<0,5% vol).
Pertanto, non sono considerate bevande alcoliche, anche se per una tolleranza zero all'alcol (come in gravidanza) è sempre meglio chiedere conferma.
Assolutamente sì.
L'uso di ginger beer e ginger ale nel mondo della miscelazione non solo è possibile, ma è fondamentale per la creazione di intere famiglie di cocktail, sebbene i loro ruoli siano nettamente distinti. Scegliere l'una o l'altra significa decidere il carattere del drink finale.
La ginger beer, con la sua anima vibrante e speziata, non è mai una semplice comparsa, ma una vera e propria protagonista. La sua intensità è perfetta per tenere testa a distillati dal sapore deciso e per costruire drink dal carattere forte e rinfrescante.
L'esempio più celebre è senza dubbio il Moscow Mule, dove la piccantezza della ginger beer bilancia magistralmente la neutralità della vodka e l'acidità del lime. Allo stesso modo, è l'ingrediente insostituibile del Dark 'n' Stormy, un classico in cui sposa le note profonde e melassate del rum scuro, o del suo parente stretto, il Jamaican Mule.
La sua versatilità emerge anche in drink come il Gin Mule (o London Mule), dove la sua verve esalta le botaniche del gin.
Data la sua complessità, la ginger beer si presta magnificamente anche come base per cocktail analcolici di grande soddisfazione, semplicemente abbinata a succo di lime e menta fresca.
Il ginger ale, invece, agisce con più discrezione. Essendo più dolce e delicato, è un lengthener ideale, ovvero un ingrediente usato per allungare un drink aggiungendo effervescenza e una sottile nota aromatica senza sovrastare il distillato di base.
È la scelta perfetta per cocktail rinfrescanti e beverini come il Ginger Highball, dove accompagna gentilmente le sfumature di un whisky, spesso scozzese o giapponese. Lo si trova anche nel classico aperitivo estivo Pimm's Cup, a cui conferisce una frizzantezza delicata.
Altri esempi del suo utilizzo includono il Horse's Neck, un elegante drink a base di brandy o whisky e ginger ale guarnito con una lunga spirale di scorza di limone, e il Presbyterian, che unisce scotch, ginger ale e un tocco di soda per un risultato ancora più leggero.
Nel mondo delle bevande è facile fare confusione. Chiariamo alcuni termini:
Quando si parla di eccellenza artigianale italiana, un esempio perfetto è la Ginger Beer Baladin. Nata dalla creatività di Teo Musso, maestro birraio di Piozzo, questa bibita è stata pensata con l'intento di ricreare i sapori di una volta con uno sguardo all'innovazione, senza usare coloranti né conservanti.
Una bibita eccezionale, naturale e artigianale, che si differenzia nettamente dalle versioni industriali per l'intensità e l'autenticità degli ingredienti.
Lo zenzero è evidente al primo sorso e persiste a lungo, esprimendo tutta la sua potenza aromatica e la sua piacevole piccantezza. La ricetta è completata e bilanciata magistralmente dal tocco acido del limone italiano, che imprime ulteriore persistenza e cesella il sorso, offrendo la bibita ideale per chi ama i sapori estremi e senza compromessi.
Straordinaria da consumare liscia, la Ginger Beer Baladin trova nella miscelazione il suo uso perfetto nel Moscow Mule, uno dei cocktail preferiti da Teo Musso, che ha ideato la bevanda proprio a questo scopo.
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