Per fare la birra analcolica, ci sono due strade:
Le birre analcoliche sono presenti sul mercato da tempo immemore, tuttavia stanno guadagnando spazio soprattutto negli ultimi anni grazie a una maggiore sensibilità dell’opinione pubblica su alcuni temi, come l’inclusione sociale e l’attenzione a uno stile di vita salutare. Nonostante il suo nome, la birra analcolica non sempre è totalmente priva di alcol e dunque il suo tasso alcolico può essere tranquillamente superiore allo zero.
Questa variabilità dipende da nazione a nazione, ad esempio per la legge italiana si definisce analcolica quella birra con un grado Plato compreso tra 3 e 8 e un titolo alcolometrico volumico non superiore all’1,2%. La legislatura europea, invece, prevede il limite dello 0,5%.
Il titolo alcolometrico è proprio il tasso alcolico o, per meglio dire, la gradazione alcolica della birra, che misura il contenuto di etanolo all’interno della bevanda. Tale valore si indica con il simbolo “%” perché corrisponde alla percentuale in volume delle parti di alcol puro alla temperatura di 20 °C contenuti in 100 parti di prodotto considerato alla stessa temperatura. L’etanolo, anche conosciuto come alcol etilico, è prodotto dal lievito durante la fase di fermentazione del mosto, insieme ad anidride carbonica e ad altre sostanze. È perciò lo stesso processo produttivo della birra che, in condizioni normali, prevede la creazione di alcol.
Come si può ottenere una birra priva di alcol (o con quantità quasi irrilevanti) se l’alcol è naturalmente prodotto dal lievito durante la fermentazione del mosto?
Le tecniche sono diverse ma fanno capo essenzialmente a due filosofie:
Si brassano le birre in modo convenzionale e poi si elimina l’etanolo dal prodotto finito.
Pro: controllo puntuale del grado alcolico finale.
Contro: costi elevati, rischio di perdita aromatica.
Metodi tipici:
Il birraio interviene sul processo per ridurre la produzione di etanolo.
Pro: minor necessità di impianti di dealcolizzazione, maggiore coerenza con la ricetta.
Contro: bilanciamento delicato tra fermentazione, corpo e aromi.
Pratiche diffuse:
Nota aromatica: le birre così ottenute sono spesso aromatizzate (ingredienti speciali) o luppolate a freddo per amplificare l’impatto aromatico che, altrimenti, risulterebbe più contenuto.
Un’altra soluzione adottabile a monte è quella di utilizzare lieviti diversi dal genere dei Saccharomyces, impiegando ceppi che producono poco alcol e molte sostanze secondarie, come gli esteri. Anche in questo caso occorre seguire accortezze particolari durante il processo produttivo, ma vale la pena sottolineare che per la legge italiana può essere considerata birra solo quella realizzata tramite una “fermentazione alcolica con ceppi di Saccharomyces carlsbergensis o di Saccharomyces cerevisiae”.
Esistono infine tecniche meno raffinate:
Produrre birra analcolica è prima di tutto una sfida per il birraio, perché chiamato a limitare la formazione di un composto che è naturalmente prodotto durante la fermentazione - e la birra è e deve essere il frutto di una fermentazione. Le tecniche sono diverse e quasi nessuna prevede che la birra alla fine sia completamente priva di alcol. Per la stessa ragione ogni nazione ha la sua definizione di birra analcolica o di birra alcohol-free.
No: può contenere tracce di alcol; i limiti variano per paese (nel testo: Italia ≤ 1,2%, UE 0,5%).
Due: dealcolizzazione (distillazione sottovuoto, osmosi inversa) e riduzione a monte (blocco fermentazione, lieviti “pigri”, mosto ad hoc, basse temperature).
La distillazione può causare perdita di aromi; il sottovuoto attenua il problema. L’osmosi inversa limita gli stress termici.
Spesso grazie a ingredienti speciali e luppolatura a freddo per compensare la minore spinta fermentativa.
Le principali linee guida sanitarie raccomandano di evitare l’alcol in gravidanza; non esiste una quantità di alcol considerata sicura. Se si desidera una “birra senza alcol”, la scelta più prudente è un prodotto etichettato 0,0% e, in ogni caso, è bene parlarne con il proprio medico.